Le lucertole del monte Giogo non sono come le altre, sono rare e (forse) non vengono dal fondo dell’antico mare padano. Sono un’eredità del giurassico; si aggiravano per questi Appennini quando il golfo era il paradiso dei cetacei e dei pesci; e quando l’immensa distesa d’acqua si ritirò, e le balene rimasero nell’antico golfo senza più voglia di vivere, scoprirono quanto fosse bello stare dove una volta c’era il profondo del mare, quello sconvolto dalle alluvioni. Stordite dal cambiamento, le lucertole, decisero che non c’era altra strada per loro che scendere a quote più basse e così la prataiola, la muraiola, il ramarro, l’orbattino e tutta questa famiglia rettile si misero in cammino, un lungo cammino, e persero grandezza, e forse anche i veleni; di sicuro le cattive intenzioni. Transitarono nel golfo delle balene e giunsero sul monte Giogo dove solo in poche, quasi tutte al color verdazzurro brillante, quasi elettrico, si adattarono per restarvi; e lo fecero in pochi esemplari di carattere mentre il resto della milionaria colonia finì con lo stabilirsi tutt’intorno, dal fondovalle alla montagna ma non tanto sul monte Giogo e nemmeno sul Falcone e sul Padova.
Sul monte tra grovigli di rovi, l’invadente ginestra, la roverella, la recente robinia, la vartisa, l’edera, il “bargnolo” e le ortiche queste speciali lucertole piacentine vivono tuttora con i rettili striscianti, i “ratti” volanti, i piccoli e innocui roditori terricoli e migliaia di altri esseri, controllando che l’equilibrio naturale non venga mai alterato, in un trionfo di fiori e possenti alberi a ricoprir lo scoglio e il vecchio fondale marino; quello che il maestoso calanco ci lascia ammirare e molto di più immaginare…
Ma è raro incontrar queste “lucertole”, che amano la frescura e san difendersi dai molestatori striscianti o predanti. E prendono il sole nelle ore del mattino, bevono la rugiada dei fiori, il nettare delle stelle, e fuggono le femmine dal maschio, per farsi rincorrere e mordere la coda, e accoppiarsi.
Animali intolleranti al diserbante, alla chimica innaturale e al caos umano.
Ma quelle speciali vivon solo sul monte Giogo, nelle antiche terre del Piacenziano della Valdarda.
E prima di imboccare nuovamente la strada, quella che un tempo era detta del Rio Martino, e scendere a valle verso Lugagnano, passando per l’antico borgo di Niviano fondato da Pietro che principe non era ma di sicuro importante “sculdascio”, uomo della legge, stiamo ancora per un poco appollaiati in alto al gradone estremo, in riva allo strapiombo ripido (e impraticabile) del calanco, confusi tra la verde e gialleggiante ginestra, a respirar la lieve brezza, ammirando quella parte della Valtolla verso la quale stiamo procedendo. E sul monte opposto, solo un po’ di traverso, intravvediamo la vecchia Pieve di Vernasca; e ancora altri monti dal Vidalto alla Palazza per andar oltre verso le vette più alte dell’Appennino.
E dalla parte opposta, in direzione nord est, abbiamo tutte le colline che, digradando verso la pianura alluvionale, chiudono il cerchio.
Ma appena lo sguardo si sposta appena più in là, ancora in direzione sud, una minuscola e fastidiosa ciglia solitaria, d’improvviso penetrata nella nell’orbita oculare mi impedisce di distinguere, forse provvidenzialmente, il “mostro moderno”, che con le lucertole non è di sicuro imparentato, e che vorrebbe divorar l’intera valle. Il mostro che in tanti temono e che come un drago per nulla mitologico sputa i suoi veleni sulla valle da troppo tempo, in attesa che un eroico cavaliere sfoderi il suo spadone salvifico.
Dal monte Giogo imbocco la strada del Rio Martino, che un tempo era percorsa dai pellegrini Francigeni e dai viandanti, che ora si è fatto sentiero ripido; piacevole da percorrere per ammirare la natura, fino a digradare lentamente verso il piano, verso il primo colle di Niviano che non conserva, se non in qualche sasso annerito, quelle antiche tracce della sua storia più antica.
Sappiamo che qui c’era il castello con tutt’intorno le case della corte di quel citato Pietro lo “sculdascio”, con i suoi campi, le vigne, gli orti e i boschi per far pascolare i maiali. E sappiamo anche che tutto dovette restare quasi intatto fino alla fine del secolo XVIII, quando la malora iniziò a prendersi il sopravvento e il castello, lentamente, scomparve per lasciare il sol cartello “Niviano Sopra” .
Sergio Efosi, estratto dal volume “Viaggio nella Valtolla e dintorni”
SCHEDA PER LA FRUIZIONE DEI LUOGHI
Il maestoso complesso calanchivo del Monte Giogo-monte Padova-monte Falcone domina le valli dell’Arda e del Chiavenna tra Castell’Arquato e Lugagnano con ripidissime balze intervallate da sottili creste dentellate, ben evidenti sul versante sinistro dell’Arda all’altezza di Lugagnano. Qui affiorano, e sono ben evidenti, gli strati storicamente adottati come “stratotipo del Piacenziano”, chiaramente leggibile dal basso fin sulla cima, dai materiali argillosi, di colore grigio-azzurro, ai dorati strati arenacei a quelli sommitali, a volte nascosti dalla vegetazione, dove si riconoscono le formazioni calcarenitiche. Nei pressi della sommità il Cortesi, al quale è dedicato il museo geologico arquatese, scoprì nel 1834 lo scheletro di un rinoceronte; e nel 1842 il Podestà rinvenne tra i calanchi uno scheletro quasi completo di giovane delfino della specie Delphinapterus brocchii.
Lungo una ripida parete del calanco Menozzi si rinvennero nel 1934 i resti incompleti e disordinati di un cetaceo.
E tra alberi e fiori di ogni tipo, iperprotetta, si è insediata una preziosissima colonia di chirotteri, i quasi scomparsi pipistrelli; e inoltre nidifica, tra tanti uccelli bellissimi, anche il maestoso falco pellegrino che nelle belle giornate sorvola il territorio per cercar la preda.
Questo mi auguro sia sufficiente per farvi comprendere il valore veramente eccezionale che riveste per tutti noi valdardaesi questa preziosa area naturale (notizie tratte dalla scheda natura 2000). Sulla cima, sul monte Giogo ci si arriva a piedi con facilità in tutte le stagioni, da Castell’Arquato (dal Cristo) e da Lugagnano (attraverso i sentieri di rio Martino o dalla Madonna del Piano). Sulla cima, accanto alla grande croce, c’è l’area pic-nic.
E rammentate bene: si tratta di un’area protetta da raggiungere e percorrere a piedi o in bici.

Ho visto a due volta questa lucertola nel mio ‘giardino’ a Castelletto