
di Brigante della valtolla
Mi ricordo il rapimento di Aldo Moro. Mi è venuto in mente perché successe di questi tempi, tanto tempo fa. Era il 16 marzo del 1978.
Ricordo che ero in palestra, e quando uscii in strada trovai una scena inconsueta.
Davanti alla palestra c’era una scuola e notai che molti genitori, soprattutto madri, attendevano i propri figli.
Mi sembrò una cosa, per quell’ora, inconsueta e questo mi incuriosì.
Mi avvicinai e una madre, con tono preoccupato, mi informò che avevano rapito l’onorevole Aldo Moro.
Me ne tornai come di consueto a casa a piedi e non nego quanto quella notizia, appena appresa, si fosse rapidamente installata, predominante, nei miei pensieri.
Certo ero preoccupato per quell’evento, anche se in senso vago, fumoso, perché forse ancora non capivo…
Era la prima volta che una preoccupazione “esterna”, così distante da noi, proveniente da un altro mondo, focalizzava le nostre attenzioni più intime.
Questa “sconvolgente” notizia veniva a bussare ai portoni della fabbrica, della scuola…e delle nostre coscienze.
Ricordo che il rapimento di Moro mi impressionò proprio a partire da questo atteggiamento inconsueto: il forte allarme che suscitò nel cerchio della nostra vita quotidiana, un allarme per qualcosa che accadeva lontano; una distanza apparentemente enorme per noi giovani…
Poi le immagini fecero il resto: l’auto in cui era stato portato via Moro (l’uomo che forse avrebbe costruito un Italia migliore), i morti e le altre notizie che si susseguirono nei giorni successivi mi impressionarono, confermandomi una volta per tutte che il “fuori” era più grande, molto più grande del mio paesello e anche della mia valle. Si potevano rapire persone, le si poteva tenere chiuse in un buco e poi ammazzarle come bestie. Era davvero una cosa grossa.
Lo compresi subito… già osservando gli sguardi delle mamme fuori dalla scuola.
Il mondo non sarebbe più stato uguale, per me e per tanti altri giovani era terminata la fase della “spensieratezza”.