Questa è la confidenza-confessione ricevuta dal Romito del Pelizzone dal protagonista di un fatto delittuoso capitato a Niviano di Lugagnano venerdì 7 maggio 1751.
“Nel mese di maggio passato, andamo io e sei compari in una casa appresso Neviano di uno, de’ quale io non so il nome né cognome, dove stettemo essendovi giunti circa meza hora di notte, per vedere se capitava qualche uno per rubbare e così feccemo essendo a quatro hore di notte in posta (dove eravamo appostati) capitò l’ordinario (corriere postale) che veniva da Castello a quall’era accompagnato da due altri huomini a cavallo e li miei compagni lo fecero fermare, et io corsi appresso a uno di loro che se ne fuggiva, ma essendo ben a cavallo se ne scapò via, et io così ritornai dove erano li miei compagni, et qui rompendosi le valiggie le presemo due groppi di scudi, delle calsette et altre bagaglie (attrezzi). Li presemo delli denari che havevano nelle stacche (tasche) e poi li lassamo andare e di detto bottino a me ne toccò vinticinque scudi, la mia parte almanco, e le robe restarno tutte a li miei compari come ho detto – e si partimo tutto poi et andamo in valle Lavaiana e per li monti delle Lame e della Gora e domandamo se di sopra vi erano genti, e ne dissero di no, et cosi restamo per fatti nostri… Tutto quello che ho detto e confessato é vero…e preggate il Signore che mi perdoni”.
Traduzione del blog.
“Nel mese di maggio andammo, io e sei miei compari, in una casa nelle vicinanze di Niviano (ndr: fraz. di Lugagnano) di uno del quale io non so il nome né cognome, dove restammo, essendovi giunti circa a mezzanotte e mezza, per vedere se capitava qualcuno da derubare. Restammo fino alle quattro di notte nel luogo dove eravamo appostati quando udimmo sopraggiungere il corriere postale che veniva da Castell’Arquato, accompagnato da due altri uomini a cavallo che i miei compari fecero fermare. Io rincorsi uno di loro che fuggiva, ma essendo a cavallo se ne scapò via, così ritornai dove erano i miei compari e rompemmo le valigie dalle quali prelevammo due “groppi di scudi” (monete), delle calze e attrezzi vari contenuti nelle altre valigie. Poi ci facemmo consegnare anche i denari che avevano nelle “stacche” (tasche) i conduttori del convoglio e li rilasciammo. Del bottino a me toccarono vinticinque scudi, e le altre robe restarono tutte ai miei compari. Ci spartimmo (dividemmo) tutto e quindi andammo in valle Lavaiana (sul lato sud dei monti Menegosa e Lama) e da qui raggiugemmo i monti Lama e groppo di Gora e verificando che non vi fosse alcun pericolo restammo per lungo tempo per i fatti nostri…. Tutto quello che ho detto e confessato è vero…e pregate il Signore che mi perdoni”.
Il capo di questa banda, Niccolò Cavaciuto di Pianazzo del Pelizzone, venne successivamente riconosciuto e arrestato nel mercato di Lugagnano venerdì 24 ottobre 1760 e imprigionato a Piacenza dove fu sottoposto alla corda (tortura) e indicò i nomi dei complici ma questa è altra storia…
In più di un’occasione i Romiti che vivevano in diverse località degli Appennini vennero accusati di collusione con briganti e sfrosatori (contrabbandieri di sale e frumento) ma raramente furono raccolte prove a loro carico. Molti di questi, compreso il nostro, non avevano alcun affare con gli “sfrosatori” e ancor meno con i banditi (per le autorità erano tutti briganti). Accettavano, quanto serviva, sale e un cero per la Madonna e nient’altro.
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