
L’ANTEFATTO
Nella tarda primavera del 773 Carlo, re dei Franchi, chiamato dal Papa Adriano I, varcò le Alpi e dilagò nella pianura padana al seguito di un poderoso esercito.
Il re longobardo Desiderio si asserragliò nella città-capitale di Pavia opponendo una lunghissima resistenza per oltre 9 mesi. Alla fine, un martedì del mese di giugno del 774, vinta dalla fame e dalla peste Pavia aprì le porte ai vincitori e il 10 luglio 774 Carlo entrò in una città sporca e affamata. Una dopo l’altra, le altre roccaforti longobarde padane caddero. Verona, l’altra più importante città fortificata del nord presidiata dal figlio del re Adelchi, associato al trono dal 759, andò invece incontro alla resa rapida per causa essenzialmente di traditori interni.
Era trascorso quasi un anno dalla calata franca in Italia.
LA RESISTENZA A CASTELL’ARQUATO
[Ma nel cuore profondo del regno Longobardo, sulle balze montane e negli erti colli che fronteggiavano, ai margini dell’Appennino, la pianura , dove una rete di castelli vigilava sulla distesa piatta percorsa dalla via Emilia, la resistenza dovette essere più lunga e accanita e lo stupore, di fronte alla grande tragedia, più agghiacciante, più amara la disdetta e la finale rassegnazione.
A dimostrazione di tutto ciò una carta privata, raro segnale luminoso in tanta povertà e grigiore, ci da la misura di uno stato d’animo di impotente e angosciata consapevolezza del dramma che il popolo longobardo visse per molti e duri mesi di quel periodo.](¹)
La carta è stata redatta in Castell’Arquato il 6 maggio 774, a poche settimane dalla capitolazione di Pavia, nel successivo inizio di giugno.
IL DOCUMENTO DI CASTRO FIRMO ARQUATENSES
Quando tutto intorno era già capitolato, distrutto, abbandonato e, come accennato, la fine del regno imminente, il 6 maggio 774, a Castell’Arquato, il Notaio redige un atto di donazione secondo le regole longobarde e, a dimostrazione che quell’angolo di territorio longobardo non era ancora stato conquistato e non era neppure prossimo alla fine, verga il documento con un Castro Firmo per sottolineare, verosimilmente, le incredibili doti di difesa del borgo, al tempo racchiuso nel solo alto ripido colle a guardia della valle dell’Arda.
Ma la cosa più sorprendente è il tenore iniziale del testo che recita: “Nel nome di Cristo, carta di donazione scritta in un periodo di barbari avvenimenti…”.
Seguono tutta una serie di dichiarazioni che descrivono la fine del Regno dei Longobardi come un’immane tragedia.
In pratica questo documento sta a dimostrare che ancora dopo un anno dalla calata franca, nella quasi imminenza dalla resa del Re Longobardo a Pavia, a Castro Firmo si resisteva e si “documentava” quella invasione franca come una tragedia, quasi per scongiurare la resa finale dei Longobardi.
DALLA RESISTENZA ALLA LA FAME E ALLA DESOLAZIONE
C’è da credere che all’inizio di quel mese di giugno 774 anche sulle colline dei dintorni arquatesi risuonassero le trombe dell’esercito franco che chiamava a raccolta le truppe per l’assalto finale all’ultimo castello resistente…
C’è anche da credere che la resa fosse inevitabile per evitare che si distruggesse per sempre quel Castro Firmo Arquatenses… che sarebbe restato un protagonista della storia per l’intero medioevo e il successivo rinascimento.
E di calamità dovette proprio trattarsi anche per le terre arquatesi che saranno di li a poco, nell’estate di quel tragico 774, percorse e ampiamente saccheggiate dalle truppe franche.
E un silenzio doloroso calò sul castrum firmo, sulla curia, sulla pieve che con le campagne circostanti vennero “abbandonate” per oltre due anni…o forse più.
Quel guizzo di luce annunciata dalla recente primavera si fece, con l’estate, sempre più sinistro e spettrale, alla carestia subentrò la peste che travolse tutta la valle con i residui abitanti; e la desolazione si allargò all’intera pianura inasprendo gli animi dei pochi superstiti. E iniziarono i soprusi, e molti scampati alla guerra, alla carestia o all’epidemia furono assassinati; altri furono uccisi dalla fame e molti divorati dagli animali selvatici padroni dei campi, delle boscaglie e dei centri abitati che degradavano ogni giorno di più…
Nel 776 o forse nel 781 (²), alla sua seconda o terza discesa in Italia, Carlo Magno transitò dalle parti di Castro Firmo Arquatenses e volle annunciare che le obbligazioni assunte dai capifamiglia, che si erano “consegnati ” con mogli, figli e averi ai nuovi principi o agli stessi principi longobardi prima di capitolare, erano annullati poiché stipulati per fame o per imposizione o altro ingiusto movente. Era un atto di pacificazione che permise al Regno Italico di rinascere e a Castell’Arquato di assurgere agli onori della storia.
La storia romanzata da Sergio Efosi© (bozza non corretta)
(¹)L’intera storia prende spunto da una ricerca di Vito Fumagalli, uno dei più grandi storici dell’alto medioevo. Quanto riprodotto in corsivo tra le parentesi quadre [ ] è un passo della ricerca scritta dall’autore citato nella presente nota.
(²)Qualche storico mette in dubbio tale data anticipandola al 776
