
di Brigante della valtolla
L’ORIGINE IN DUE PAROLE
Il Cantar maggio o Calen di maggio e se preferite il Cantamaggio è un rito antico che ha tutti i connotati della liturgia pagana pre-cristiana.
L’espressione propiziatoria per la nuova primavera che celebravano gli antichi abitatori delle nostre montagne appenniniche dal Mar Ligure al Po i Liguri e i Celti, assai legati nella loro esistenza all’elemento silvestre e naturale.
Con l’avvento e il radicarsi del Cristianesimo ed il trascorrere dei secoli molti degli originali significati di questo rituale antico si sono trasformati in un “semplice” momento di festa per l’arrivo della nuova stagione.
I SIGNIFICATI DEL CALEN DI MAGGIO
Il fulcro del rituale è senza ombra di dubbio la canzone che gruppi di giovani nella sera e nella notte fra il 30 aprile ed il 1° maggio (il calendimaggio) intonano accompagnati da una fisarmonica (una piva, una specie di cornamusa locale, in epoca più remota) passando di casa in casa e chiedendo offerte in natura, possibilmente uova e vino.
Se la casa visitata dai cantori si rivela generosa, il Cantamaggio evolve in strofe di elogio e ringraziamento per i padroni di casa. Al contrario, le strofe mutano in scherno e augurio di “sciagure” per chi si era rivelato gretto ed indisponente.
Questo antichissimo rito è, come già detto, da sempre presente e celebrato dalle comunità rurali dell’Appennino tosco-ligure-emiliano, che celebra con danze, musica e canti la forza fecondatrice della primavera dopo il rigore dell’inverno e l’astinenza imposti dalla Quaresima ( ecco il legame con il Cristianesimo).
Il Calen di maggio era anche una modalità usata, nei tempi passati, nelle comunità agricole, per favorire nuovi matrimoni o fidanzamenti.
I “maggianti” (vale a dire i cantori) scapoli potevano entrare nelle case e ammirare le “ragazze da marito” che a loro volta, vestite nei tipici costumi valligiani, cercavano di fare bella mostra di sé.
Ma il Calen di maggio canta anche l’arrivo della primavera, la stagione della semina e la fine del lungo isolamento invernale delle case o delle frazioni rurali, anche per quelle più lontane.
In Lunigiana (Toscana del nord), legata alle nostre valli da sempre, esiste una grande pianta di castagno dove è incisa una frase che da spiegazione a tutto “Una montagna ci divide ma le tradizioni ci uniscono”.
Dalle nostre parti la tradizione è forte nell’area “alta” delle 4 province (Alessandria, Piacenza, Pavia e Genova) e nelle aree limitrofe come in alta valdarda.
IL CANTAMAGGIO IN VALTOLLA
In alta Valdarda, nella valtolla, fin dai primi decenni del Novecento, vi è l’usanza di celebrare l’arrivo della primavera con il Cantamaggio ma solamente a Vernasca e a Vezzolacca sopravvivono tali rievocazioni.
Con il passar del tempo la grande festa del Calen di maggio di Vernasca ha perso un po’ di smalto, rispetto agli ultimi decenni del secolo scorso, quando il giro dei cantori era più sentito nel cuore della gente e circolavano le leggendarie battute e le novelle in dialetto del mitico Armando; e i balli sull’asfalto della piazza e la frittata erano semplicemente straordinari.
Ma la tradizione comunque continua con buona partecipazione, buona musica popolare e tanta allegria.
LA NOTTE DEL RITO…
Nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio, infatti, in questi due paesi menzionati, dove la tradizione si è mantenuta, si radunano cantori e musicisti. Il corteo prima organizzato, poi spontaneo, passa di casa in casa eseguendo un canto rituale di questua ed altri brani popolari, quasi a voler risvegliare alla vita e alla primavera gli abitanti del paese. Se il canto beneaugurale è stato gradito i “maggianti” ricevono uova e altri generi alimentari. Si è conservato talvolta l’uso di ricambiare i doni di cibo, e in particolare di uova, simbolo di fecondità, con l’omaggio di un ramo di maggiociondolo, fiore giallo e profumatissimo, a sua volta simbolo della rinascita della vegetazione. Ma per ricevere l’augurio propiziatorio, i padroni di casa non dovevano mostrarsi avari: la canzone del Cantamaggio prevede infatti due finali ben distinti, sotto le finestre di chi offre cibo e bevande i cantori inneggiano alla vitalità della chioccia e dei suoi pulcini:
Viva la cìosa cun tutt i pùlastrèn
Crapa la vulpa cun tutt i so vùlpèn
… O bèl o veng i màas o bèl o veng o màas
Quando invece le finestre non si aprono e gli abitanti si dimostrano parsimoniosi con il gruppo itinerante dei maggianti, le parole del canto augurano la visita della volpe e della sua progenie, un animale temuto dai contadini proprio perché li deruba del loro bestiame:
Viva la vulpa cun tutt i so vùlpèn
Crapa la cìosa cun tutt i so pùlastrèn
… O bèl o veng i màas o bèl o veng o màas …