
Il vino è buono o cattivo?
Si direbbe buono se guardiamo al successo che i vari festival del vino locale, dal Monterosso Festival al Gut festival, hanno avuto.
Si direbbe cattivo se pensiamo ai danni causati dall’abuso di alcol che colpisce giovanissimi e non…
Ma allora è cattivo anche mangiar salame, insaccati in genere e formaggi, ecc…ecc….perché fa aumentare a dismisura il colesterolo cattivo nel nostro sangue che di conseguenza provoca l’insorgenza di gravi malattie che provocano danni irreversibili alla salute.
Ma il problema non è questo.
Il vino nasce da un’azione negativa, molto negativa per una materia prima come l’uva….perché una materia prima che “fermenta” sviluppa tossine che possono anche risultare molto gravi per la salute umana; la fermentazione non controllata, di fatto, provoca la marcescenza….e la distruzione della materia prima medesima.
Invece la “distruzione” di questa materia prima alimentare ridotta a poltiglia da origine ad una “fermentazione controllata” e, grazie alla maestria dell’uomo, si trasforma in qualcosa di estremamente positivo per l’alimentazione e il gusto; e anche dal punto di vista simbolico-religioso considerato che nella Santa Messa si fa ricorso al vino, prodotto fermentato, per celebrare l’eucarestia…ovvero la Comunione con Dio.
L’uva, prodotto alimentare eccellente, diventa vino [prodotto alimentare a sua volta] che si lega alla cultura del cibo, al un cibo di un determinato territorio, prodotto della tradizione del territorio medesimo.
Il vino del nostro territorio è buono o cattivo?
Il vino assume, pertanto, maggiore valenza se si identifica anche con un territorio e con il cibo dello stesso perché [il vino] è, prima di tutto, “identità fisica”, ovvero terroir!
Ma anche il cibo, a sua volta, è e dovrebbe essere identità fisica.
Nel caso piacentino, il cibo e il vino, dovrebbero essere ancor più “identitari”.
Il Gutturnio è tutto questo ma mancano studi più approfonditi, maggiori tracciati storici, le dimensioni sociali assunte nel tempo, le evoluzioni colturali e produttive che ne hanno decretato il successo [lavoro per gli storici…lavoro per la sociologia dell’alimentazione].
Gran parte del nostro cibo tradizionale [turtei…pisarei…anvei….anra….capon, mareina, castagna, pum, pum da tèra…ecc…] dovrebbe essere maggiormente “identificato”, reso identitario, unico, riconoscibile e legato, per l’appunto, al territorio [altro lavoro per ….].
Solamente in tal modo il connubio vino-cibo-terroir sarà recepito e resterà indissolubilmente legato a Castell’Arquato, Carpaneto Piacentino, Vigoleno, Bacedasco, Vigolo Marchese, Magnano, Gusano, la Valdarda, la Valchero, la Val…
E questo dovrebbe accadere tanto per un consumatore che provenga da Milano, da Cremona quanto da New York o Pechino.
Il vino e il cibo sono espressione di cultura e socialità (cit.); il vino dei colli piacentini è buono, il Gutturnio, il Monterosso e l’Ortrugo sono eccellenti! Personalmente amo i vini locali, prediligo i rossi leggermente mossi, anche quando non sono perfetti secondo i canoni degli enologi di grido; e sostengo i piccoli produttori del mio “comprensorio”. Non sono alla moda, sono arretrato? Forse ma quest’anno i miei amici vitivinicoltori locali produrranno buon vino e io berrò bene e con tanto gusto…
Sergio Efosi per Valtolla’s blog
Ps: l’articolo ne riprende uno precedente pubblicato nel 2011.