Uomini, lupi e alluvioni prima dell’arrivo dei frati del monte Moria…

ANTEFATTO*

I secoli tra il VI e il VII vengono ricordati come i più tremendi dell’alto medioevo, oscillanti tra lotte politiche, vergognose bassezze e guerre devastanti; tra crimini, ingiustizie, carestie, epidemie e la costruzione delle prime chiese Plebane e dei grandi monasteri.

I secoli dei Goti, dei Bizantini e poi dei Longobardi, delle grandi invasioni e dei disastri inimmaginabili.
Il VI secolo è quello della lunga guerra gotica, durata quasi 20 anni fino al 553; guerra che provocò vaste distruzioni, spopolando le città e i paesi, impoverendo le residue popolazioni, flagellate da un’epidemia di peste e da una grande e prolungata carestia che devastò la loro residua vita sociale.
Ma la vittoria finale e la conseguente occupazione dell’Italia da parte dei Bizantini non durò a lungo, si rivelò precaria, poiché al confine est della Penisola, già dal 568 i Longobardi, attraversarono l’Isonzo e dilagarono nella pianura padana, occupandone rapidamente vasti tratti anche grazie alla debolezza dei “difensori”.
E la Valdarda non venne risparmiata dalle guerre, dalle distruzioni e dalle epidemie; e alcuni uomini di fede si rifugiarono nei monti più aspri, più impervi per seguire le Vie del Signore…

UOMINI, LUPI E DESOLAZIONE IN VALDARDA
Agli albori del secolo VII, quando ancora si registrava una sporadica presenta di soli eremiti nel deserto delle montagne e delle boscaglie piacentine e  la desolazione regnava sovrana, si racconta di un pesante inverno tra il 610 e il 611.
Il periodo in cui l’uomo si fece lupo e gettò la maschera rivelando di cosa fosse capace la natura umana, fiaccata da continue guerre, lutti, fame e disperazione.
Agli uomini, in quel tempo, e da ormai molto tempo, non riusciva di arare né di seminare, di mietere e di coltivare le vigne e raccogliere l’uva; e il gerbido aumentava.
E non riuscivano, spesso, d’abitare nei loro miseri villaggi, posti ai margini della sempre più invadente boscaglia. Erano costretti a lavorare sotto l’occhio vigile, nelle zone più remote e in aperta campagna, dei ragazzi posti di guardia sugli alberi che lanciavano segnali vocali in caso di pericolo.
A tanto si era giunti nell’intero territorio che in questo periodo era infestato da malfattori di ogni risma che catturavano le persone e ne chiedevano il riscatto. Se tale riscatto non fosse stato immediatamente accettato, al povero malcapitato sarebbe stato riservato un trattamento disumano: si appendeva a testa in giù, gli si strappavano i denti, gli facevano ingoiare rospi vivi e altre torture del genere, frutto della mente contorta dell’essere umano disperato…e degradato nei sentimenti.
Tutto ciò per indurre i parenti a versare quanto richiesto nel più breve tempo possibile.
E non di rado si trattava di rapimenti compiuti per conto di mandanti che restavano “coperti”, spesso signorotti decaduti in seguito a guerre e altre sventure; gente senza scrupoli che impiegava veri delinquenti e “disperati” per compiere il lavoro sporco.
Erano briganti veri, più temuti del diavolo.

E dovunque la terra era desolata, non si vedevano contadini nei campi e nelle vigne, e nessuno si muoveva tra i pascoli dei boschi.
Le campagne brulicavano di animali selvaggi, tanti da far impressione, e i lupi famelici si aggiravano per le campagne alla ricerca del cibo;  e la notte era usuale sentirli ululare a lungo incutendo il terrore tra la gente dei villaggi e delle corti. Erano gli anni  della lotta tra il bene e il male incarnato dal lupo e dagli animali selvatici.
A poco valsero le predicazioni dei primi frati, e degli uomini di fede, per far comprendere a quell’uomo impaurito che il male era ben altra cosa; che il male era nascosto nelle pieghe della sua natura sconvolta da guerre e conseguenti epidemie  che ne avevano fiaccato la condizione fisiche, etiche e morali.
Le continue distruzioni e devastazioni della lunga guerra gotica, le spoliazioni causate dalle successive invasioni e dalle guerre longobarde, le ricorrenti carestie, le epidemie e la quasi totale assenza di regole che si perpetravano da troppe generazioni, determinò un cambiamento del carattere umano mai conosciuto in precedenza.
E non basto tutto questo poiché, raccontano ancora i cronisti medievali raccogliendo le testimonianze tramandate dalle generazioni che li precedettero, anche il clima si irrigidì sempre più e le estati si accorciarono; e il freddo sconvolse le colture in primavera e il ghiaccio costante come le intense nevicate determinarono fenomeni ambientali gravissimi.
Nella primavera, nella cupa primavera del 611, quando le nevi si sciolsero e le acque si ribellarono, le alluvioni assunsero una fisionomia da far paura.
A più riprese, tutti i torrenti della Valdarda esondarono causando danni incredibili. Tutti i guadi e le passerelle furono travolte, crollarono e si formarono ampie distese di acquitrini permanenti e il terreno divenne impraticabile.
E non si erano ancora spenti gli echi delle recenti e devastanti guerre quando i Longobardi,  essi stessi invasori, feroci, predatori, in guerra costante anche tra di loro, con le loro regole, le loro ambizioni e le loro pretese, si insediarono in taluni tratti della valle dell’Arda, andando a occupare quel che restava delle terre del fondo di Mignano e la rigogliosa boscaglia che aveva preso il sopravvento tra i resti della Via consolare e l’Appennino…
E dovettero passare ancora anni, si dovettero attendere un mutamento del loro primario atteggiamento bellicoso, la lenta conversione al cattolicesimo e l’insediamento dei frati…
E furono proprio quei frati del monte Moria che determinarono la svolta…

(Fine della quarta puntata “I racconti del monte Moria”)
La storia romanzata da Sergio Efosi© (bozza non corretta)

*questo capitolo de “I racconti…” è ispirato dalle “cronache” di S. de Adam da Parma riprese dallo storico bardigiano Vito Fumagalli, 1992.

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