Incipit…
Il vino piacentino è questione collinare, gli ultimi vigneti di pianura risalgono all’ormai lontano primo dopoguerra, quando iniziò il loro espianto definitivo (anni 50 del secolo scorso).
“Espiantate per far posto alla zootecnia e alle colture industriali ben più redditizie e adatte al terreno del nostro piano…”.
Questa raccomandazione istituzionale, ovviamente, valeva per Piacenza ma non per Reggio, Modena, Bologna dove invece hanno continuato a piantar vigneti in pianura, anche ben oltre la linea della Via Emilia, a nord della stessa.
E così ora, a distanza di oltre 50 anni, ci ritroviamo senza viticoltura di pianura, quasi senza zootecnia da latte e da carne, con un piccolissimo comprensorio di frutticoltura e senza una vera “vocazione” agroindustriale che non sia quella superprotetta, per ora, dagli aiuti Comunitari.
Disamina, la mia, ovviamente superficiale per non dir quello che è evidente e sotto gli occhi anche dei meno esperti di economia (come il sottoscritto).
Eppure, opportunamente sostenuta tecnicamente, la viticoltura di alta pianura, quella tra la Via Emilia e la prima collina (ma per certi versi anche in altre zone piane) avrebbe potuto dar soddisfazione almeno tanto quanto la zootecnia, e forse ora ci sarebbe ancora.
Ma con i forse non si va lontani e allora, per restar con i piedi per terra, mi limito ai miei ricordi, a quelli più intimi.
Le terre del vino sono …
Le terre del Monterosso e del Gutturnio sono bianche, a tratti rosse e sempre teneramente verdi.
Terre dove l’uva bianca , e quella rossa, si coltiva “all’ombra” e ovviamente al “sole”, dove il gusto è diverso per ogni versante ma egualmente intenso e piacevole.
Un vigore di colore, una dolcezza estrema sui bricchi meglio esposti e un calore di forze provenienti dal sottosuolo, quello milionario che ha conservato, pietrificate, le più antiche specie viventi restituendole sempre nell’umore dei vini prodotti con uve rigorosamente, e sapientemente, selezionate dai vignaioli-cantinieri locali.
Terre dove la zappa e l’aratro trovano ancora fossili dell’oceano prosciugato che ora è divenuto un mare di colline…di dolci colline.
Terra unica la mia Valdarda, terra che si smorza nel Po, terra di primati millenari, di humus e linfe sotterranee misteriose riconoscibili solo nelle uve e nel foraggio, e dunque nel vino e nel buon latte.
Ma lungo l’antico canoide della Valdarda, della Vallongina e della Valchiavenna, quello che ancora poco conosciamo, per lunghi secoli han coltivato anche la vite e l’ulivo, e il vino buono non era solo quello del colle.
Anzi, nel colle spesso si coltivava solo uva da bilancia (per il consumo fresco) perché il vino non riusciva a dovere.
Modernisti e conservisti si sono alleati e han sfidato il buon senso e dal colle è sparita l’uva da bilancia e dal piano tutte le vigne, senza diritto di replica.
Eppure, lo ribadisco, in altre zone non è andata così; eppure anche in Valdarda tra san Lorenzo e Lusurasco (per far un esempio) vi erano le condizioni per far viticoltura di buona qualità perché quel comprensorio non è piano, non è convenzionalmente piano, e conserva più di altri le tracce di quel mare antico…
E non ci sono misteri da svelare, forse solo menzogne storiche da sbugiardare.
E c’è la composizione chimica della terra e ci sono i microclimi, e nella “noce morra” ci sono due-tre gradi in più rispetto alle “buche” in ombra o quasi della collina vitata.
Forse non si produrrebbe il gutturnio, forse neppure il Monterosso ma di sicuro vino buono, molto più buono di certe brodaglie esotiche modaliole.
Explicit …
In Valdarda la terra per il vino è “buona”, è buona anche nei versanti ben esposti verso il piano…e il vino prodotto con le uve della “noce morra” era aspro come lo erano certi vini del colle ma poi qui intervenne la tecnica e alla noce morra no.
Ma non si torna indietro, non si possono fare operazioni-nostalgia, piuttosto serve tanta organizzazione per un miglior mercato…
E allora lunga vita alla viticoltura piacentina, a quella della Valdarda e delle valli dei dintorni.
E allora in bocca al lupo agli organizzatori del festival del Monterosso*.
Sergio Efosi (coautore del volume “Eccellenze eno-gastronomiche in Valdarda e dintorni”, Piacenza, 2016; fotoamatore, escursionista, blogger e narratore)
* il festival nel 2017 si svolgerà a Castell’Arquato il 30 aprile e il 1° maggio (per saperne di più clicca qui!)