Castell’Arquato: dal principio erano il mare e il volo degli uccelli …poi venne l’uomo.

Castell’Arquato:dal principio erano il mare e il volo degli uccelli… poi venne l’uomo¹. Di sergio efosi

Risalendo lentamente verso il borgo di Castell’Arquato seguendo la Via montana dei francigeni, quella dei “Monasteri Regi”, mi sovvien la storia più antica, quella del mare tra la falesia e le sue prime profondità, dove si ripararono le balene.

Quella storia dove i piccioni che volteggiano attorno alla maestosa Rocca Viscontea non son altro che la metamorfosi degli antichi gabbiani che si appoggiavano sulle guglie sporgenti della falesia e sugli scogli; e che in volo radente battevano il mare aperto, che si estendeva dove ora s’allarga la fertile pianura tra Castell’Arquato, Fiorenzuola e anche ben oltre, per avvistare lo scintillare argenteo dei pesci che si crogiolavano al tepore solare a fior d’acqua, tra luce e abissi, inconsapevoli prede degli aggressivi predatori.

Ma quando le acque si ritirarono, la terra si svelò, fu solcata dalle acque dolci e tutto si modificò.

La chimica dell’acqua marina prima di ritirarsi nelle lontane profondità della terra, nei distanti e infiniti mari più “moderni”, trasformò le sabbie e le conchiglie in rossastre terre, in giallognole formazioni tufacee e in argille preziose che la sapiente manualità umana dei primi abitatori della valle ha plasmato in mattoni compressi e combusti, per trasformare porzioni di quegli antichi fondali marini, irregolari e frastagliati, in maestosi edifici.

Così il mito si riverbera diverso ma in fin dei conti sempre uguale; e la scogliera si trasforma e si arricchisce con le torri e i campanili.

E per il volo degli uccelli gli edifici arquatesi sono pur sempre come le scogliere antiche dove tutto sembra di nuovo armonizzarsi in un paesaggio fluido e sempre in movimento.

Ma il tempo passa e anche l’uomo cammina, il medioevo lascia i suoi segni e al destino dell’uomo si aggiunge la “tecnologia”. Si trivellano i pozzi e si attraversano milioni di anni in un batter d’occhio, raggiungendo le prove del giurassico e la primordiale morfologia della valle dell’Arda, dove scorre il torrente, sulla quale stiamo camminando, lavorando, pensando, studiando, riposando e forse anche altro.

Dal fianco molle della montagna, da Castello fino all’ultimo calanco del monte Giogo e di quelli più interni delle valli del Chiavenna, dell’Ongina e del Chero, a volte anche senza far nulla, emergono le prove e si incontrano nuovamente la balena e il rinoceronte che il gran frullatore del tempo ha combinato in un soluzione senza continuità per farci riflettere, pensare e fantasticare.

Quando affiorano questi grandi “resti”, e sono più evidenti i fossili giacimenti conchigliferi, tutto torna nuovamente a mescolarsi, come in principio, e forse più di prima; e dai sassi che affiorano in superficie riscopriamo i segni delle maree, quelli delle alluvioni e ogni altra traccia del tempo infinito che abbiamo lasciato dietro alle nostre spalle.

Con il lento trascorrere del tempo sono cambiati i colori e ora la marea verde e bruna ha rimpiazzato quella blu e azzurra; e non più i grigi scogli e i fondali marini ma pur sempre la vita della terra e di quel mare antico ora invisibile, tuttavia tangibile e mai dimenticato.

Così Castell’Arquato si è dapprima formata, poi si è “innalzata” verso il cielo creando un insediamento di uomini dall’inanimata materia che aveva lasciato il mare, determinando l’eccellenza di quel segno architettonico che ancora testimonia il suo genius loci.

Ma la vera convergenza tra il passato e il presente sta nel fatto che Castell’Arquato, tanto a lungo centro strategico della Valdarda e luogo di passaggio d’importanti Vie commerciali e di pellegrinaggio, abbia impresso nella sua struttura la silenziosa firma delle maree e delle onde di quel mare che anticamente si ritirò.

Tutto questo durerà fino a quando l’uomo non impazzirà e inizierà a demolire con maggiore determinazione, con la sua deliberazione tecnologica capace di trasformare le tracce del passato in nulla… per sempre.

Quando tutto questo succederà, inizierà una nuova era, quella della desertificazione.

Nel frattempo, risalendo tra gli antichi vicoli del borgo, tra pensieri e ammirazione, sono giunto nella piazza monumentale di Castell’Arquato per contemplarla in tutta la sua straordinaria bellezza; quella bellezza impressa nella sua Basilica Pievana, regina del colle, che affascina per le sue fattezze, che più di tutte le altre meraviglie del luogo lascia intravedere quel legame con la chimica della terra antica divenuta solida e biondeggiante, senza contare i suggestivi particolari che si scoprono visitandola all’interno, capace di suscitare quel sentimento che invita a devota preghiera.

Seduto in un angolo della piazza, sorseggiando un calice di rosso Gutturnio, assaporando due fette di buon salame piacentino,  imprimo le ultime emozioni prima di riprendere il mio ancora lungo cammino alla scoperta della Valtolla, dell’Appennino valdardese e dei suoi piaceri eno-gastronomici.

E non posso non interrogarmi sui “mostri” che dovettero affrontarsi tra i primi fanghi lasciati da quella “bassa marea” senza ritorno e le rigogliose felci, e tanto altro, che cambiarono il volto della Valdarda.

Chissà quali profonde foibe si dovettero riempire di fango, detriti, carcasse animali, pesci di ogni tipo e vegetali per occultare quello che ora immaginiamo sia custodito e sigillato nelle viscere profonde della valle dell’Arda e sotto questa stessa piazza arquatese che calpestiamo.

Chissà attraverso quali vene sotterranee sono giunte in superficie quelle abbondanti fonti salse, fresche e saporite, che hanno nutrito la natura e gli esseri viventi, e forgiato il carattere della terra e dei suoi prodotti migliori propiziando quel buon vino che da sempre tanto piace.

E’ nel Viale delle Rimembranze, nella strada dei Frati, nel parco termale del rio Acqua Puzza che sgorgava la limpida sorgente con proprietà curative note fin dai secoli lontani; è poco distante dove si sono scoperte le tracce delle sepolture di qualche tarda età che ben non ricordiamo. Questi luoghi, questa parte della valle che sto percorrendo, dove per la storia finisce Arda e inizia Tolla, hanno da restituirci ancora tanta conoscenza e tante leggende pre-romane, liguri e celtiche, che mai sono state approfondite perché appartennero ai vinti, ai perdenti della storia, quelli dei quali abbiamo smarrito la memoria quasi per sempre.

Ancora si può supporre che lo stesso leggendario fondatore di Castell’Arquato sia stato sepolto sotto al selciato di pietra, nel “cortile” del fortilizio antico, in un qualche angolo di questa piazza monumentale o nelle fondamenta della Basilica Pievana; e forse ben prima che giungessero i Longobardi e si avviasse il medioevo più lontano.

Magno, grande, lo declinarono come il capostipite del Borgo com’era d’uso fare nel mondo della classicità ma forse questo era solo un pretesto per non “ammettere” un fondatore Celtico o Ligure, forse un certo Torquato, uomo di valore, signore della collina rocciosa (e del dirupo), ovvero signore di Castel Torquato.

In questa piazza monumentale ingentilita dal meraviglioso palazzo pretorio, voluto dal condottiero Alberto Scoto del 1293, non può non destare meraviglia la “minacciosa” torre viscontea elevata nel 1342 da Luchino Visconti, inglobandola nel castello quadrato, che si erge sul dirupo appartenuto a quel Magno.

Una Rocca merlata che potrebbe raccontare gli assalti respinti e i morti ai suoi piedi ma che ancora domina la valle e accoglie migliaia di visitatori ogni anno, affascinati da questo “leone” invecchiato e mai domato. Ma più di ogni racconto vale la visita che, per essere completa, contempla l’internazionale Museo geologico, quello di Luigi Illica, il celebre librettista del geniale Puccini e quello della Basilica Pievana ora fattasi Collegiata.

Dopo aver ammirato il borgo, e gustato le eccellenze eno-gastronomiche in uno dei suoi ristoranti e botteghe del gusto, scendo nel fossato per riportarmi nella sottostante fondovalle dell’Arda attraversando la porta di sasso, per risalire verso il monte non senza osservare, prima di Lugagnano, i segni evidenti di quella metamorfosi e quel cambio di orizzonte dal quale ricaviamo ancora la testimonianza degli “oceani” padani.

Note per il lettore

¹) il presente racconto di viaggio è parte del volume “In viaggio nella Valdarda e Valtolla, tra storia, mito e racconto” di Sergio Efosi (i diritti sono riservati® all’autore).

Ampi stralci del presente post sono stati ripresi dalla stesso autore in “Eccellenze eno-gastronomiche…” (di Sergio Efosi e Fausto Ferrari).

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