Racconteremo la storia della Valtolla attraverso un viaggio un po’ reale e un po’ virtuale, andando alla ricerca delle tracce di quei tempi e della stagione fondante dell’abbazia di Tolla, del suo sviluppo e di quella dell’intera media e alta valle dell’Arda (progetto editoriale di S.E&F.F.)
Risalendo lentamente verso il Borgo, verso la piazza monumentale, per raggiungere la costa più alta che conduce alla fine del monte Giogo, seguendo la Via montana dei francigeni, quella dei “Monasteri Regi”, ci sovviene la storia locale più antica, quella del mare tra la falesia e le sue prime profondità, dove si ripararono le balene.
Quella storia dove i piccioni che volteggiano attorno alla maestosa Rocca non son altro che la metamorfosi degli antichi gabbiani che si appoggiavano sulle guglie sporgenti della falesia e sugli scogli.
Quei gabbiani che in volo radente battevano il mare aperto, che si estendeva dove ora s’allarga la fertile pianura tra Castell’Arquato, Fiorenzuola e anche ben oltre, per scrutare lo scintillare argenteo dei pesci che si crogiolavano del tepore solare a fior d’acqua, tra luce e abissi, inconsapevoli prede degli aggressivi gabbiani.
O forse più semplicemente questi piccioni di Castell’Arquato non sono altro che i discendenti dei colombi selvatici che vivevano sulle svettanti falesie che circondavano l’arcipelago delle isole emerse in quel grande mare tra l’acròcoro del Moria e le vette più belle dell’alto Appennino valdardese.
Ma quando le acque si ritirarono, la terra si svelò, fu solcata dalle acque dolci e tutto si modificò.
E la chimica dell’acqua marina prima di ritirarsi nelle lontane profondità della terra, nei distanti e infiniti mari più “moderni”, trasformò le sabbie e le conchiglie in rossastre terre, in giallognole formazioni tufacee e in argille preziose che la sapiente manualità umana dei primi abitatori della valle ha plasmato in mattoni compressi e combusti per trasformare porzioni di quegli antichi fondali marini, irregolari e frastagliati, in maestosi edifici.
E così il mito si riverbera diverso ma in fin dei conti sempre uguale.
La scogliera si trasforma e si arricchisce con le torri, e i campanili, e per il volo degli uccelli gli edifici arquatesi sono pur sempre come le scogliere antiche e le contrade che si estendono tutt’intorno come il mare infinito che dominava quegli antichi scenari; e tutto sembra di nuovo armonizzarsi in un paesaggio fluido e sempre in movimento.
Ma il tempo passa e anche l’uomo cammina, il medioevo lascia i suoi segni e al destino dell’uomo si aggiunge la “tecnologia”. Si trivellano i pozzi e si attraversano milioni di anni in un batter d’occhio raggiungendo le prove del giurassico e la primordiale morfologia della valle dell’Arda sulla quale stiamo camminando, lavorando, pensando, riposando e forse amoreggiando…
E dal fianco molle della montagna, da Castello fino all’ultimo calanco del monte Giogo e di quelli più interni delle valli del Chiavenna, dell’Ongina e del Chero, a volte anche senza far nulla, emergono le prove e si incontrano nuovamente la balena e il rinoceronte che il gran frullatore del tempo ha combinato in un soluzione senza continuità per farci riflettere, pensare e fantasticare.
E dai sassi che affiorano in superfice riscopriamo i segni delle maree, quelli delle alluvioni e ogni altra traccia del tempo infinito che abbiamo lasciato dietro alle nostre spalle.
Con il lento trascorrere del tempo sono cambiati i colori e ora la marea verde e bruna ha rimpiazzato quella blu e azzurra; e non più i grigi scogli e i fondali marini ma pur sempre la vita della terra e di quel mare antico ora invisibile, tuttavia tangibile e mai dimenticato.
Cosi Castell’Arquato si è dapprima formata, poi si è “innalzata” creando un insediamento di uomini dall’inanimata materia che aveva lasciato il mare, determinando l’eccellenza di quel segno architettonico che ancora testimonia il suo genius loci.
Ma la vera convergenza tra il passato e il presente sta nel fatto che Castello, tanto a lungo centro strategico della Valle e luogo di passaggio d’importanti Vie commerciali e di pellegrinaggio, abbia impresso nella sua struttura la silenziosa firma delle maree e delle onde di quel mare che si ritirò.
Nel frattempo, risalendo tra gli antichi vicoli del borgo, tra pensieri e ammirazione, siamo giunti nella piazza monumentale di Castell’Arquato per contemplarla in tutta la sua straordinaria bellezza.
E qui possiamo solo supporre, perché le fonti non lo confermano, che lo stesso leggendario fondatore di Castell’Arquato sia stato sepolto sotto a questo selciato di pietra e sassi dove siamo ora arrivati, il “cortile” del forte, in un qualche angolo di questa bella piazza già ben prima di settecento anni dopo la nascita del Nostro Signore.
Magno, grande, declinarono il capostipite di questo luogo com’era d’uso fare nel mondo della classicità ma forse questo era solo un pretesto per non ammettere un fondatore Celtico o Ligure, i perdenti di quella storia, forse un certo Torquato, uomo di valore incollanato, signore della collina rocciosa, ovvero signore di Castel Torquato.
Seduti in un angolo della piazza, sorseggiando un calice di rosso Gutturnio, assaporando due fette di buon salame, imprimiamo le nostre ultime emozioni e riposiamo brevemente prima di riprendere il nostro ancora lungo cammino alla scoperta della Valtolla (2-estratto dal ©progetto editoriale di S.E&F.F.-2015, continua).