ANTEFATTO
Forse non tutti sanno che il termine “pietra di paragone”, usato ormai più che altro in senso figurato, corrisponde proprio ad una varietà di “pietra” che esiste anche nell’alta valdarda.
Di questo dovettero esserne ben coscienti quei primi frati di Tolla che ci accompagnano in questo viaggio nel crinale della Valdarda, alla ricerca della pietra perduta.
E perlustrarono per diversi giorni, in lungo e in largo, tutti questi monti fino a raggiungere il Lama, monte situato alla congiunzione delle valli dei torrenti Arda, Ceno e Nure, che raggiunge un’altezza di 1.342 metri e occupa un’estesa costa culminante, leggermente più a nord, con il Monte Menegosa (1.356 metri); con una dorsale occupata da un’estesa placca rocciosa di diaspri rossi dello spessore di qualche decina di metri, in commistione con altre unità rocciose, segni della presenza di antichi oceani.
Poi vennero i terremoti, le glaciazioni e sconvolgimenti vari che determinarono l’Appennino e la scomparsa dei menzionati “oceani padani”…
E proprio fra i vari “ritrovamenti” sono emerse le prove dello sfruttamento primitivo del diaspro del Lama, uno dei più antichi nell’Appennino Ligure-Emiliano*.
Il diaspro è una roccia sedimentaria silicea, caratterizzata da grana finissima, di aspetto compatto, liscio, con frattura concoide, in diverse varietà di colore, dal rosso al verde, dal nero-marrone scuro al giallo.
L’interesse dell’uomo per il diaspro risale alla notte dei tempi, quando iniziò a servirsi di questa roccia per la realizzazione dei primitivi manufatti adatti tagliare e a bucare con facilità, e non solo.
In breve il diaspro divenne una delle prime rocce di vero interesse e utilità nella nostra storia, tra le prime a divenire attrezzo, arma, pietra curativa, amuleto e dunque merce di scambio molto apprezzata.
Ma forse non tutti sanno, ad esempio, che il termine “pietra di paragone”, del quale si è fatto cenno, corrisponde proprio ad una varietà di diaspro (essenzialmente quello nero-marrone scuro, ma non solo questo…) adoperata, nel passato, per verificare**, per strofinamento, i metalli preziosi utilizzati come merce di scambio e in seguito come moneta.
ALLA RICERCA DEL DIASPRO PERDUTO…
Le favorevoli condizioni di esposizione e l’alta qualità (la “vetrosità”) di questi diaspri hanno reso il monte Lama un luogo di fortissima attrazione per l’uomo antico. Questa roccia risultava essere rara e dunque molto pregiata; e quella del Lama è pure di ottima qualità.
E la memoria del diaspro del monte Lama non si era persa neppure all’inizio del secolo VII, all’epoca di Tobia e dei suoi confratelli, che al tempo stazionavano sul Moria.
I cacciatori che transitavano sull’acrocòro, e si fermavano a dialogar con loro , portavano al collo amuleti “rossi” e “scuri”, e tra i loro utensili, e le loro “armi del mestiere”, possedevano lame affilatissime, punte sottilissime e taglientissime costruite con quella pietra rossiccia…
«Dove avete trovato queste pietre per i vostri collari, per le vostre lame, per le punte delle lance…?»
«lassù, sul monte più alto –risposero– sul versante dove il sole va calando…dovete seguire i sentieri dei cervi che vanno ad abbeverarsi alla sorgente del colle del Castellaccio, poi salire ancora e superare quel cornetto…».
E riferirono che i loro utensili, e quei collari, eran costruiti da loro stessi utilizzando quelle pietre particolarmente dure, quelle rosse, facili da lavorare; e a volte anche quelle scure durissime ma molto più rare.
Quei religiosi che stazionavano sull’acrocòro del Moria, ben sapevano di quel crinale; che non era poi tanto lontano.
E ben sapevano che quelle pietre non erano solo utili per i cacciatori e per lavorare gli elementi della natura selvaggia.
Sapevano che quelle pietre dure e rosse erano un rimedio per il dolore al cuore…(si doveva mettere la pietra rossa fredda sul petto fino a quando il calore del corpo non l’avesse riscaldata).
E sapevano anche che per evitare che i sonni fossero turbati dal demonio occorreva tenere la pietra accanto a sé mentre si dormiva, e predare il Padre.
E sapevano che per scacciare la paura e ritrovare l’equilibrio era necessario pregare e tenere la pietra accanto al proprio giaciglio.
E ben sapevano dei riti pagani, della superstizione dei cacciatori e i dei raccoglitori che con il diaspro costruivano amuleti del coraggio e della combattività…
Un giorno decisero di andare alla scoperta di quel sasso, della pietra dura del Lama.
Il lavoro, in quella stagione primaverile leggermente assolata e ancora immatura, non mancava e neppure la curiosità per una pietra che i padri antichi ricordavano esser taumaturgica, forse una pietre curativa.
Giunti alla sorgente dell’Arda, appena sotto al colle del Castellaccio, si affrettarono a benedire quella preziosa e fresca acqua che sgorgava dalla roccia, e pregarono il Signore prima di proseguire fino a superare il crinale; e laggiù dove l’acqua aveva eroso di più il lieve strato di terreno scoprirono la roccia rossa di cui avevano inteso parlare dai cacciatori. E poco distante, verso il colle più alto la roccia scura; quella rara e sperduta tra il diaspro rosso, l’ofiolite, la radura spazzata dal vento e la boscaglia.
E riuscirono con mazzette in legno, punte di diaspro e divaricatori in legno verde, abbondantemente bagnato, ad estrarre una discreta quantità di roccia rossa e qualche frammento di scura che, con l’ausilio dei muli, trasportarono sull’acrocòro.
Poi un giorno sull’acrocòro giunse un messaggero del re con un “invito-ordine” e con utensili in ferro per lavorare, e scorte alimentari e famiglie militari longobarde al seguito…
Ma per molto tempo ancora, per lunghi secoli, i viandanti-mercanti che transitavano nella valle e acquistavano pellame, e miele, e sale della terra, e oggetti in diaspro rosso del Lama***, si dovettero sottoporre alla prova della “pietra di paragone”…
Le loro sonanti monete di metallo, offerte in cambio della merce acquistata dai contadini e dai cacciatori-raccoglitori dell’alta valle, venivano strofinate con la pietra durissima e rara del diaspro, quello “scuro” che stabiliva se l’affare si potesse concludere.
E il monastero divenne il centro di riferimento sociale, religioso, e pure economico, per gli uomini che, lentamente, ripopolavano l’alta valle, e per tutti i viandanti, e i pellegrini, che sempre più numerosi vi transitavano per raggiungere Roma.
(Fine della settima puntata “I racconti del monte Moria”)
La storia romanzata da Sergio Efosi© (bozza non corretta)
*La scoperta si deve al giovane archeologo Osvaldo Baffico, prematuramente scomparso in un incidente stradale.
**A quei tempi non esistevano il conio e una certificazione dei pesi e dunque tra i “ termini di paragone” c’era il diaspro; il diaspro che ci ha restituito l’oceano quando si è ritirato dalla Valpadana.
***Il diaspro rosso del Lama è ormai raro, nascosto nelle viscere del monte. Quel poco che era ancora affiorante è andato esaurendosi…ma lungo l’Arda, a valle dove le sue ghiaie si son depositate nel corso delle numerose alluvioni può capitare di trovare una “pepita” di diaspro rosso che riemerge alla luce.

Un articolo/estratto bellissimo e molto interessante. Io mi sto appassionando ai diaspri e li sto collezionando. Amo in particolare proprio alcune varietà di diaspro rosso (brecciato, jaspilite a strati di ematite), quindi le faccio i miei complimenti. Vorrei anche chiederle, se possibile, di spedirle una foto per avere un suo parere su un diaspro scuro, a strati, che non riesco a identificare. Attualmente vivo negli Stati Uniti, e qui di diaspro se ne trovano molte varietà diverse. La ringrazio ancora per la storia affascinante. Bernardo