Scritti del Romito del Pelizzone*
GLI ANTEFATTI PRINCIPALI…
Il 13 ottobre 1534 Alessandro Farnese, uomo di tante parentele piacentine e parmensi, viene eletto Papa assumendo il nome di Paolo III. Pochi mesi dopo, nel 1535, sospendendo la normale procedura che prevedeva l’elezione dell’abate da parte dei monaci sopprime l’Abbazia Tolla, perché “decaduta moralmente e politicamente”, una formula infamante, usata quando si volevano incamerare i beni e il territorio di un feudo, di una ricca famiglia, di un avversario politico.
Era solo un atto, diciamo il più terribile, che decretava l’avvio del tramonto definitivo della giurisdizione di Tolla dopo secoli di vicissitudini e gravi usurpazioni patite dalla stessa abbazia a partire dal 13 agosto 1370, quando l’Abate Luchino da Cella con un suo atto “libero e spontaneo” (“libero e spontaneo”, si fa per dire…) sottomise alla protezione del Duca di Milano Galeazzo Visconti, signore di Piacenza, il Monastero e l’intera giurisdizione, uomini, religiosi e chiese comprese, con particolare riferimento ai castelli e ai borghi di Sperongia e Lavernasco, alle ville di Olza, Vezzolacca, Morfasso, Pedina, Settesorelle, Castelletto, ecc…
A compenso di tale protezione agli uomini della valle venne imposto una tassa di duecento fiorini d’oro annui.
Nel 1380, nel Palazzo del Popolo del castello di Sperongia, s’insediò il primo Podestà laico.
Arriviamo al secolo XVI quando signori di Tolla erano i conti Rossi di Piacenza che nel 1541 vennero “estromessi” (ritenuti usurpatori di Tolla) in seguito a una sentenza della Sacra Rota (il tribunale del Vaticano) che assegnò il controllo del vasto territorio alto valdardese al Cardinale Guido Ascanio Sforza, nominandolo commendatario.
Lo stesso Cardinale, nel 1544 o 1545 cedette tali possedimenti per sempre a Sforza Sforza conte di Santa Fiora, suo fratello e signore di Castell’Arquato per un compenso annuo di duemila lire milanesi…e un cavallo veloce. Passano una settantina d’anni e tutto si ribalta nuovamente. Nel 1624 il Cardinale Francesco Barberini, nuovo Commendatario dell’Abbazia di Tolla, con un’altra sentenza della Sacra Rota fece dichiarare gli Sforza morosi e decaduti dal contratto di locazione di tutti i beni di Tolla ricevuti in fitto perpetuo.
IL GRANDE ARCHIVIO DI TOLLA TRAFUGATO PER SEMPRE…
Durante quei secoli turbolenti si ebbe l’impressione che ai frati di Tolla, a onor del vero parecchio indeboliti dalle scarsissime vocazioni e dall’impoverimento progressivo del loro territorio storico, si volessero far pagare le manifestazioni di autonomia dal potere papale nel corso della lunga e secolare disputa tra guelfi e ghibellini. Ma queste eran solo voci…
Tra la bolla di Papa Paolo III, la presa del potere del Cardinale Francesco Barberini e i periodi appena successivi (quelli della presenza degli Sforza-Cesarini) la situazione economica e sociale del territorio si andò progressivamente ad aggravare tanto che crebbero le intemperanze della sempre più vessata popolazione e comparvero i primi “briganti sfrosatori”; ribelli per fame e per tener testa alle palesi ingiustizie perpetrate da corrotti commendatari e dai loro scagnozzi.
A un certo punto la situazione si aggravò a tal punto che la Valtolla divenne quasi ingovernabile e, da Roma, dal potente cardinale Francesco Barberini, giunse l’ordine perentorio: “trasferite l’archivio di Tolla in luogo sicuro, trasferitelo a Roma…”.
Ma ormai l’Abbazia era impoverita, diroccante e ridotta a semplice chiesa parrocchiale, il titolo di Abate-Commendatario, pur prestigioso, era vuoto di contenuti e l’archivio non più sicuro.
Nel 1624 il vasto archivio abbaziale, all’apparenza di nessuna importanza politica e culturale, viene trasferito per non far mai più ritorno a Piacenza e a Morfasso.
L’archivio, a dire il vero, era da tempo semi-abbandonato e più volte violato da finti studiosi e interessati amici (ma anche nemici) dei commmendatari medesimi; depredato delle interessanti mappe e dei documenti più antichi; alla mercé di chiunque avesse allungato una “mancia” ai custodi.
Coloro che avevano perlustrato tale archivio si dovettero però render conto che, tra atti fondiari e testamentari di gente semplice, conservava anche scottanti documenti “politici” e rendicontazioni di fatti “clamorosi” che occorreva custodire al sicuro perché non finissero tra le mani di avversari del Papa e della sua corte.
E così lunedì 6 maggio 1624 di buon ora, quando la notte era ancora alta, il vasto archivio secolare, composto da migliaia di documenti venne caricato su cinque carri e, scortato da dieci armati, partì per Roma per non far mai più ritorno.
Tutta quella parte “politica” è ancora segreta e, verosimilmente, contiene notizie di grande rilievo storico che forse un giorno…
L’abbazia nel corso dei secoli era stata spesso nominata in documenti regi, in cronache del tempo e in atti e notizie conservate a Piacenza poiché, di diritto, appartenente alla cerchia dei protagonisti della storia locale per molti secoli; conservatrice di un traverso che permetteva il valico (e dunque il controllo) appenninico al Pelizzone, fondamentale per coloro che dovevano dirigersi nella Lunigiana e quindi a Roma.
Gli Abati di Tolla incontrarono re, regine, principi, vescovi, emissari dei potenti del tempo e con essi interloquirono; e si fecero, in più occasioni, mediatori tra le diverse istituzioni e i vari potentati grazie alla storica reputazione che si erano conquistati.
Nel loro grande archivio dovevano dunque, come era costume del tempo, custodire tanta memoria dei compromessi e delle gesta, non sempre nobilissime, dei potenti di turno, degli imperatori, dei papi e delle regine…; notizie di incontri segreti avvenuti nel territorio tollense, non necessariamente tra le mura dell’abbazia, lontano da sguardi interessati che, si racconta, avrebbero visto, tra l’altro, la presenza della potente regina Matilde di Canossa che si incontrava con emissari imperiali e mediatori papali, e forse con i suoi amanti…
Regina che, per riconoscenza a tale discreta “ospitalità” dei frati, fece loro dono di centinaia di piantine di castagno che elessero la Valtolla quale centro tra i più importanti per lo sviluppo di tale coltivazione nel piacentino.
Ma in quell’archivio dovevano anche essere custodite le vibranti proteste indirizzate all’imperatore, o al stesso Papa, contro i soprusi perpetrati ai danni dell’Abbazia da potenti feudatari piacentini tra i secoli XIII e oltre; o verità scottanti per il clero che si interessò parecchio, e a più riprese, ai loro averi.
Potrebbero esservi le carte della “contabilità truffaldina” dei vari commendatari nominati dal Papa medesimo che contribuirono non poco al totale degrado di questa potente abbazia e del suo territorio.
Alla fine, di conseguenza, era interesse di papi, cardinali e feudatari che i frati benedettini di Tolla fossero “cancellati”, che tacessero per sempre; che fossero ricondotti alla cieca e muta obbedienza all’Istituzione superiore.
In pratica per riuscirvi il “potere” non esitò, ancora una volta, a far circolare fandonie per screditare la troppo potente abbazia.
Il potere, ancora una volta, non esitò a fare quanto già visto e patito dalle suore cistercensi arquatesi di Santa Franca nel secolo XV; cacciate dal loro convento di Castell’Arquato poiché la loro istituzione dichiarata “decaduta moralmente”…(la stessa accusa avanzata a Tolla).
La storia ha poi restituito la verità per le suore di Santa Franca ma non ancora quella per i frati di Tolla.
Ma forse un giorno il loro archivio …
*Estratto da “Le memorie della Valtolla” del Romito del Pelizzone
(Le fonti storiche sono riprese dagli scritti di Angelo Carzaniga, romanzate e ottimizzate con “Le memorie…” del Romito del Pelizzone da Sergio Efosi)
(bozza non corretta)