
Se ritornassimo agli anni 50-60 del secolo scorso rivedremmo i bambini appartenenti a famiglie agiate giocare con i bellissimi soldatini di piombo, con un cavallo a dondolo, con una bambola di ceramica o di panno fine con vestiti bellissimi, con un fiammante triciclo rosso. I ragazzetti di campagna e della montagna non avevano tempo da dedicare al gioco. I nostri genitori neppure avevano la possibilità di permettersi di acquistarli e così ci affidavano compiti che spesso sapevamo trasformare in divertimento. Si trattava in tanti casi di compiti gratificanti, rapportati alla nostra età: allevare pulcini, levare le uova dal pollaio, portare da mangiare e da bere ai lavoranti ai mietitori, agli “sfalciatori”, ai raccoglitori di pomodori o uva…Dovevamo badare alla pecora, ai tacchini o alle oche con la bacchetta, stare attenti che nel cortile non comparissero “forestieri”(fare la guardia, un compito particolarmente gradito ai maschietti).

Durante la sorveglianza degli animali cantavamo e zufolavamo come fringuelli, impastavamo la mota per fare oggetti che regolarmente distruggevamo, scolpivamo piccoli oggetti con l’immancabile coltellino e osservavamo la frutta che ogni giorno maturava, gli uccellini dalla costruzione del nido alla nascita dei loro piccoli e in autunno andavamo a raccogliere le castagne per contribuire all’economia famigliare… C’erano però anche i più sfortunati che a 12 anni andavano a fare il “famiglio” presso qualche grossa azienda agraria.
Ci si accontentava di costruire un piccolo trattore con il recupero delle scatole del lucido da scarpe o i rocchetti del filo di refe, di trascinare una piccola scatola di latta con lo spago come fosse un camion. Alle bambine piaceva giocare alla maestra e come cavia avevano i piccoli fratelli, le sorelline e i cuginetti che nel frattempo dovevano accudire (…erano babysitter ante litteram). Giocavamo insieme a saltare la corda, al mondo e ridevamo come pazzi, felici e spensierati come debbono essere i bambini. In primavera andavamo per fiori, costruivamo tirasassi micidiali e ci affrontavamo con carrettini con le ruote dei cuscinetti che facevamo correre lungo i pochi tratti di strade asfaltate o sui marciapiedi delle scuole. D’inverno facevamo a pallate di neve e scivolavamo lungo i pendii seduti sopra rudimentali slitte costruite con le assi delle botti vecchie…(a fine giornata eravamo bagnati fradici!).
Da grandini scorrazzavamo, nei brevi periodi di riposo dalle faccende di campagna, per torrenti e piccoli rii a pescare o imparavamo ad utilizzare la bicicletta (spesso era quella dei genitori); alla domenica con la magrissima paghetta (se c’era!) giocavamo con il calciobalilla e ci gustavamo un piccolissimo ma gustosissimo gelato e rincorrevamo il pallone pensando di giocare al calcio. Giocattoli veri e propri non ne avevamo ma ci divertivamo tanto e poi da una certa età il più bel gioco era …il corteggiamento tra una dottrina e un vespro, tra una scoppola del prete e un ceffone di qualche mamma o sorella maggiore. Poi si iniziava a lavorare e solo pochi proseguivano gli studi dopo l’avviamento o la media unificata…
Questa che viviamo invece è l’era delle contraddizioni! Gli adulti (compresi i giovanissimi) faticano a trovare o a tenere un lavoro ma giocano, giocano tanto. I più “pazzi” giocano con le macchinette mangiasoldi, moltissimi con una solitaria consolle ma non si cresce… Siamo forse destinati ad essere eterni bambini che non maturano più?
(Nota della redazione: l’articolo si è ispirato a “tradizioni popolari piacentine” di C.Artocchini)