Abbiamo ripreso un piccolo ” frammento” di una ricerca storica del prof. Massimo Pallastrelli pubblicata nel 2007 dai quaderni della valtolla (rivista di ricerca storica locale che viene editata da 12 anni).
La ricerca, come si annuncia nel titolo, traccia uno spaccato della vita ” sociale ” di Vernasca nella metà del 1500 che vogliamo porre alla vs. attenzione.
Il titolo originale è: Vernasca nella seconda metà del cinquecento.
“……I divertimenti sono pochi: d’inverno ci si prende a pallate di neve e non solo fra bambini; qualche volta nella palla di neve si mette anche un po’ di ghiaccio e si regola così un piccolo conto in sospeso; non mancano, in tempo d’inverno, denunce in tal senso fatte dai malcapitati colpiti nella nuca o in un orecchio.
Il gioco avviene perlopiù nell’osteria dove ci si intrattiene con le carte o sfidandosi alla morra; in genere la posta è un boccale di vino o qualche parpagliola, moneta di poco conto.
Le occasioni più ghiotte sono le feste da ballo, talvolta pubbliche ma più spesso private.
Quest’ultime seguivano un rituale preciso.
Il capofamiglia che decideva di organizzare una festa da ballo con buon anticipo si assicurava la presenza di un suonatore (talvolta di due); quindi informava della sua decisione i parenti e gli amici e li invitava a partecipare.
La festa si svolgeva in casa del capofamiglia organizzatore nella stagione fredda, mentre in estate avveniva generalmente nell’aia.
Aveva inizio nel tardo pomeriggio, durava nel tempo della cena e terminava alle prime ore di notte, sicché tutti dovevano munirsi di un cero per il ritorno a casa.
Il capofamiglia organizzatore decideva i balli, cioè stabiliva quale balarina dovesse salire in ballo e chi dovesse essere il suo cavaliere; la ristrettezza delle case private non consentiva che si ballasse a più di una o due coppie per volta; gli uomini e le donne non prescelti assistevano al ballo e l’accompagnavano con battimani, in attesa del loro turno.
Il suonatore in genere si accompagnava con una chitara, che era un liuto di forma grezza; se i sonatori erano due il secondo in genere suonava uno strumento a fiato (flauto o piffero).
Sul finire del cinquecento compare l’uso di uno strumento volgarmente detto calissone di origine napoletana a forma di liuto, a tre corde, con una tastiera nel manico fatta di sedici tasti, molto grande (alcuni arrivavano a due metri ma ve n’erano anche di un metro) e il cui nome corretto è ‘colascione’.
Il suono non doveva essere gradevolissimo e le parole delle canzoni di livello piuttosto basso, tanto che il detto è una poesia da colascione indicava un testo rozzo e triviale.
Se le risse sui balli pubblici e privati erano frequenti, non mancavano altre occasioni di violenza generate da odii atavici, da sconfinamenti nel lavoro delle terre, da debiti, pignoramenti, offese verbali, danni al patrimonio.
Più che le leggi, avvertite come lontane e astratte, a moderare i comportamenti erano i principi dell’etica religiosa cristiana: gli uomini del tempo quando s’astengono dal male lo fanno assai più per il timore del peccato che per quello della giustizia penale.
Del resto il diritto non era separato dalla morale religiosa e vi era piena identificazione fra peccato e delitto.
Così le leggi punivano severamente la biastema atroce e chi la pronunciava, e non erano tenere nemmeno con chi s’azzardava a lavorare in giorno di festa, contro la consuetudine che la domenica fosse dedicata al riposo e alla preghiera…….”
COMMENTO DEL BLOG
(il resto dell’ articolo visitando il blog ” quaderni della valtolla” al quale si accede direttamente dal nostro sito attraverso il banner laterale.)
Come si viveva a Vernasca, con probabilità, non differiva molto da Morfasso, Lugagnano e zone adiacenti…..ma forse tale erano le consuetudini generali di molte parti del Paese …..e questo rende la ricerca ancor più importante.

in effetti incuriosito sono andato a leggermi tutto sul blog dei quarderni della valtolla.
lo trovo molto interessante e ben scritto.
conosco alcune persone della vostra rivista.
complimenti a tutti.