
IN GENERALE SUCCEDE…
A volte quando si pubblicano, tramite le pagine di facebook o sullo stesso blog, vecchie foto e cartoline del periodo compreso tra l’inizio del secolo scorso e i primi anni ’50 del secolo scorso si ricevono commenti molto simpatici ma anche qualche inutile “nostalgia” di quei tempi passati che furono molto, molto, molto duri e difficili.
Certo l’aria era buonissima, l’acqua non inquinata, c’era, in tante situazioni, un buon “umore” sociale ma la vita, per gli adulti in particolare , non era spensierata e serena come qualcuno pensa o si ostina a farlo. Conoscere realmente la storie del passato serve per comprendere le cose buone che abbiamo perduto ma anche per evitare di ricadere in errori tragici. Errori pagati duramente dalle famiglie “normali”, cioè dal 95% della popolazione.
Il Paese dopo tre guerre disastrose che causarono inutili morti e sofferenze per tante madri e padri di giovani ragazzi arruolati con l’obbligo si ritrovò in una crisi mai conosciuta prima.
La guerra appena terminata nel 1945 aveva lasciato ferite profonde, lutti, una grande, grandissima miseria, una disoccupazione o sottoccupazione amplissima, un’instabilità sociale senza precedenti. Il motto principale del tempo era “pane e lavoro”…

IN MONTAGNA SUCCEDE…
Complessivamente nella montagna piacentina nel 1951 la situazione era anche peggio. Erano trascorsi pochi anni dalla fine della guerra ma la crisi era profondissima e iniziava a crescere il fenomeno dell’emigrazione all’estero che, nei successivi lustri, assesterà un colpo gravissimo alla socialità e all’economia montana.
Erano presenti 45.877 abitanti ma in 5 comuni su 11 considerati montani non c’erano telefono e telegrafo; il 24% della popolazione era priva di energia elettrica; ogni 1000 abitanti c’erano 1,2 automobili, 1,3 autocarri, 14 apparecchi radio (contro 43 della media nazionale).
C’erano comuni montani dove erano presenti solo un camion e un autovettura. A Zerba, in alta Valtrebbia, non era presente alcun autoveicolo. Nonostante fossero trascorsi 6 anni dalla fine della guerra, nella montagna piacentina il consumo pro-capite annuo della carne era prossimo a 10 kg per persona e la razione proteica molto scarsa e scadente e operavano solo 15 medici, 9 farmacie e 6 veterinari (per circa 45.877 persone e 40.000 capi circa di bestiame). Cifre da sopravvivenza.
Nel 1951 a Vernasca oltre 400 persone partono per i risi distribuiti tra Lomellina e Vercellese, a Lugagnano oltre 400, a Morfasso circa 370, a Bettola circa 900, a Bobbio circa 900. Nella provincia, compreso Piacenza città, 8.000 di cui 1500 uomini e 6500 donne circa. Una vita grama, molto grama, pasti frugali e poveri di proteine. Paghe da fame, circa l’equivalente degli attuali 16/17 € al giorno per 9/10 ore di lavoro. Ma questo offriva il mercato del lavoro e doveva bastare. Ci si Accontentava.
Ma questa situazione che si perpetrava da troppi, lunghi anni, alla fine comportò la ripresa di un flusso di emigrazione verso la pianura e verso l’estero che s’interromperà (quasi del tutto) solamente nei primi anni ’70. Si trattò di una vera marcia verso la speranza…
Eppure il Paese, tra mille difficoltà e grandi contraddizioni, superò, lentamente anche questa gravissima fase e tutto si assestò alle metà degli anni ’60 del secolo scorso… Ma a che prezzo!
Dopo tutto questo non c’è morale da fare, non ci sono paroloni da spendere: occorre solo ricordare…
*Alcuni dati sono ripresi da L.Paraboschi in Piacenza nel novecento, tipleco, Piacenza 1995
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Tutto verissimo caro Sergio.
Ricordo i racconti di mio padre, di mia madre e dei miei nonni su quegli anni.
Tanta miseria.