Ducati farnesiani tra miserie e sviluppo…

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Pillole di storia locale…

I ducati farnesiani e borbonici, o se preferite il vecchio ducato di Parma e Piacenza o di Piacenza e Parma, erano caratterizzati da due elementi corografici che ne distinguevano tanta parte dei  confini: il Po a nord e l’Appennino a sud; tra i quali , per l’intero territorio di pianura, quasi longitudinale ad entrambi gli elementi corografici sopracitati correva l’antica consolare Via Emilia; e quasi ai lati estremi di questa lunga Via erano poste le due città principali di Piacenza e di Parma.

Poi c’erano Borgo San Donnino (Fidenza) e Fiorenzuola d’Arda, Castell’Arquato, Castel San Giovanni, Busseto e Bardi in montagna.

Vallate, grandi e minori, solcate da fiumi e torrenti che (spesso) esondando cambiavano la geografia ducale; e tanti territori montani e alto collinari che, anche a quei tempi, non presentavano alcuna uniformità se si eccettuano boschi e poveri campi, perlopiù scarsamente produttivi.

Già ai tempi le condizioni di vita sui nostri monti erano al limite dell’umana sopportazione con una diffusa fascia di popolazione indigente che, non di rado, era costretta a vivere di espedienti per non morir di fame.

Da qui la diffusione del banditismo e del contrabbando, che le autorità classificavano genericamente come “brigantaggio” ma che, in questo contesto socio-economico, trovava una sua giustificazione. Il capitano napoleonico Boccia, che ci ha lascito due memorabili libri dei viaggi che effettuò nei monti del ducato all’inizio del 1800, “comprese” tali comportamenti sociali e inviò supplica (inutilmente), ai regnanti affinché ponessero rimedio a tal “antico e duraturo” degrado socio-economico, così ampiamente diffuso; affinchè adottassero urgenti provvedimenti sociali e infrastrutturali adeguati alle necessità di una vita “più” normale.

Per il capitano Boccia, un borghese, un servitore dello Stato, non certamente un “pericoloso” sovversivo, la situazione doveva essere veramente al limite della sopportazione umana.

Le grandi foreste, quelle imponenti che caratterizzavano le  vaste zone montane e alto collinari dai secoli più remoti, d’altro canto, erano state duramente attaccate da piani di taglio speculativo favoriti dagli stessi funzionari dello Stato e da certi nobili che alimentavano illeciti commerci (contrabbando in grande stile) e soprusi diffusi almeno dal XVI secolo in poi. Tutto senza che né le autorità locali né altri potessero limitare tali pratiche o che vi fosse volontà reale di combattere questa dilanganrte corruzione.

Le uniche presenze ducali montane si riducevano all’emissione di “Grida” contro gli “abusi” che si perpetravano nel corso del taglio dei boschi spesso da parte di povera gente che, come già detto, faceva di necessità virtù e che oltretutto s’ispirava al cattivo esempio quotidiano dei funzionari e maggiorenti della Stato medesimo.

In montagna gran parte della pur scarsa popolazione si concentrava a ridosso o entro le mura di castelli, delle rocche o delle residenze incastellate e questo avveniva anche in tanti centri di collina. Dobbiamo pensare che Vernasca, tanto per fare un esempio in valdarda, era limitata a poche abitazioni che si sviluppavano attorno alla rocca alla cui sommità risiedevano un malandato castello e la Pieve di San Colombano.

Per il resto, oltre a piccolissimi villaggi abitati da contadini, spesso poveri al limite dell’indigenza, nelle montagne era caratteristico l’insediamento a “Villa” facente generalmente capo a un centro fortificato come lo erano Bardi, Borgotaro, Bobbio e anche Castell’Arquato in collina, cittadina, quest’ultima, interamente cinta da mura difensive con tanto di porte d’ingresso, una rocca militare e posti di guardia, molto potente nonostante fosse stata avversata da guerre, predazioni e prolungata cattiva amministrazione.

In montagna, quella posta ai confini dello “Stato”, anche per favorevoli condizioni ambientali e per di contro, come già detto, sfavorevoli condizioni socio-economiche, il contrabbando era una delle attività che impiegava una considerevole fetta delle popolazioni residenti.

In Valtolla la povertà era a livelli mai visti prima con una popolazione vessata da tasse “commendatarie” (l’Abbazia di Tolla era ora retta da un commendatario, che viveva altrove, un nobile o un alto prelato, esattore di tasse e basta) talmente elevate da costringere la gente a praticare diffusamente non solo il già menzionato contrabbando bensì anche ad emigrare in massa per lunghi periodi dell’anno quando non definitivamente pur di non vivere nell’indigenza più nera.

Ciò nonostante, nei paesi posti agli imbocchi delle vallate, si erano andate caratterizzando vecchie riunioni mercatali e fiere, nate secoli prima acanto alle Pievi, che attivavano un certo movimento economico come a Castell’Arquato, Ponte dell’olio, Pianello, Borgonovo valtidone, Langhirano, Fornovo, ecc…

Per il resto, escludendo le due città di Piacenza e Parma, i centri maggiori per i commerci e le attività produttive erano Fiorenzuola, Busseto, Cortemaggiore, Castel San Giovanni, Colorno, Fidenza e San Secondo.

In ogni caso nel periodo tra il 1500 e il 1789 (rivoluzione francese) i ducati sembrava fossero due, spesso con aspre contrapposizioni sempre molto difficili da sanare. Qualche anno dopo il 1789 si insediò un governo filo napoleonico ma quella è un’altra storia, per nulla migliore della precedente, ma un’altra storia.

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