Castell’Arquato erede di Veleia ?*

IMG_7420 _SnapseedDALLA LENTA AGONIA DI VELEIA A… CASTELL’ARQUATO. La storia di Castell’Arquato, secondo le fonti scritte, inizierebbe nel secolo VIII.  Tuttavia si ritiene, e a noi piace crederlo, che la sua origine possa essere ben più remota.

Quando Veleia, oppidum ligure, poi municipium romano, scomparve nel IV secolo  Castell’Arquato era già sviluppata e aveva assorbito molta parte delle attività di Veleia.

Uno dei massimi esperti del sito archeologico, il prof. Criniti, afferma che la vasta frana degradante da sud verso nord, su cui il centro di Veleia era collocato aveva costretto e permesso ai Romani di operare i terrazzamenti necessari per le infrastrutture fondamentali. La successiva mancata manutenzione, e lo scarso controllo di tale “movimento” fu, in seguito, la causa primaria della decadenza e della sua definitiva eclissi, fino alla riscoperta del 1747.

LA MUTATIO ROMANA...
LA MUTATIO ROMANA…

Altre cause, come una terribile epidemia di vaiolo dell’età antonina e probabili, successive scorribande di mercenari, sbandati e invasori “barbari” dovettero fare il resto.

Veleia venne forse occupata  e saccheggiata già all’inizio dell’inverno del 270 d.C. dagli stessi Alemanni (germanici) che erano penetrati nel suolo italico, per la terza volta in pochi anni, per  riscattare le precedenti sconfitte subite subite ad opera dei Romani. Nella “discesa” verso Roma  avevano bisogno di cibo e di basi logistiche per preparare le loro battaglie.  Non è pertanto da escludere che nella cruenta battaglia combattuta nel territorio di Piacenza tra Romani e Alemanni (o Alamanni) nel gennaio del 271 d.C. (III secolo), che vide la sconfitta romana, potesse essere stata coinvolta la stessa città di Veleia. Consideriamo anche che i soli guerrieri Alemanni impiegati nella battaglia di Piacenza furono oltre 10.000. Le conseguenze di una simile invasione che probabilmente durò parecchi mesi, forse un anno intero, dovette essere micidiale per Veleia che ne subì un tracollo gravissimo. Gli Alemanni in questo territorio dovettero lasciare, dopo l’illusoria vittoria di Piacenza, delle loro retrovie importanti sulla strada che li conduceva a Roma che ritrovarono sulla strada del ritorno quando sconfitti si ritiravano verso Pavia.

Nel frattempo, tra il III e il IV secolo, quasi tutte le attività più importanti erano state trasferite a Piacenza e forse a Parma e a Fidenza, già fiorenti municipi romani. Gli abitanti più legati alle attività locali restarono in zona spostandosi verso la pianura, verso la Via Aemilia, la più importante via di comunicazione che i romani avevano realizzato nella pianura del Po. Uno degli approdi di questa “ritirata” fu certamente Castell’Arquato, che già viveva una sua stagione di successi.

Dalla prima campagna di scavi, per ritrovare i resti dell’antico municipium, emerse, del resto, una città in forte declino, e forse poco abitata (le concause le abbiamo già dette…), dove tutto sembrava si fosse fermato, e la citta quasi abbandonata, ben prima della “catastrofe naturale” delle frane che la sommersero definitivamente.  Invasioni e conseguenti epidemie e carestie, dovettero “fiaccare” definitivamente il morale degli antichi abitanti, rassegnati al destino inesorabile alla quale, tali eventi, condannavano la loro città minata dalla lenta discesa delle gigantesche frane che si staccavano dai sovrastanti monti Moria e Rovinasso.

castello 1916
castello 1916

CASTEL TORQUATO DIVENTA CASTELL’ARQUATO. Parecchie delle attività commerciali e civili dell’antico municipium veleiate, progressivamente, erano state trasferite a Castell’Arquato, pare proprio già dal II secolo.

A tale periodo, di conseguenza, a noi piace crederlo, si può far risalire la fondazione di Castell’Arquato. Il luogo scelto era l’altura tufacea, tra l’Arda e il Riorzo, nella parte finale, verso nord, del calanchivo monte Giogo,  dove ancor oggi sorgono i  più bei monumenti del piacenziano…e non solo di questa provincia.

Era un “patrizio” romano, tal Caio Torquato, che edificò un fortino e una torre difensiva, con una serie di edifici civili e probabilmente religiosi nello stesso sito. Il luogo fu ribattezzato Castel Torquato e in seguito divenne Castell’Arquato.

Si ipotizza infatti che, in tale epoca,  uno dei migliori collegamenti che conducevano all’ancora importante municipium di Veleia, dalla Via Aemilia, dovesse partire dalla intersezione della Via citata con la mutatio(1) di Fonteclos (stazione fortificata per il cambio dei cavalli di Fontana Fredda), che toccasse Castell’Arquato, dove già esisteva un ponte romano, le cui tracce sono state rinvenute nel secolo XIX(2),  e Lugagnano, ai confini tra i pagi(3) Floreius e Velleius. Oltre i tracciati (poco più che tratturi da percorrere a piedi o con animali da soma, utilizzati per i commerci e le attività civili e militari) s’inoltravano verso l’Appennino, soprattutto verso i luoghi dei Luni e dei Lucchesi, passando per Bardi, Borgo Val di Taro e per il passo del Brattello.

veleia teatro 1954 (clic per ingrandire)
veleia teatro 1954 (clic per ingrandire)

Con la decadenza totale di Veleia, la più importante intersezione con la Via Emilia, per raggiungere agevolmente i Luni, i Lucchesi e Roma,  attraverso Castell’Arquato, erede a pieno titolo di Veleia, e fiorente centro economico e militare, venne individuata nella mansio(4) di Florentia (Fiorenzuola d’Arda) dalla quale poteva partire una strada, diretta e rapida,  per Castell’Arquato. Una nuova direttrice, agevole, per raggiungere l’Appennino: la Strada Castellana. Una Via che permettesse a commercianti, militari e viandanti di raggiungere Castell’Arquato, in poco tempo e in massima sicurezza.

Caduto l’impero Romano, terminate le sanguinose guerre tra Bizantini e Goti, e tra Bizantini e Longobardi, Castell’Arquato non cessò di essere ritenuto uno dei centri  economici, militari e religiosi più importanti della provincia, sede di una delle maggiori Pievi Cristiane, dalla quale arrivarono a dipendere oltre 30 Chiese e Cappelle sparse in un territorio vastissimo.

veleia maps (clicca per ingrandire)
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A CASTELL’ARQUATO TRANSITA LA VIA FRANCIGENA. Proprio in epoca longobarda si sviluppò la Via che, da Fiorenzuola d’Arda, permetteva di raggiungere agevolmente l’Italia centrale e Roma senza passare per il passo della Cisa. Una sorta di scorciatoia per il centro Italia e il Mar Tirreno.

Per molti secoli tale variantevenne percorsa anche dal crescente movimento “devozionale” di pellegrini cristiani che desideravano recarsi a Roma a pregare sulla tomba dell’Apostolo Pietro o addirittura nella Terra Santa sul santo Sepolcro.

Per molto secoli, questo tratto di Via, rappresenterà la più importante variante della Via Francigena. Una scorciatoia sicura, per raggiungere Pontremoli e ricollegarsi con il percorso classico, poi  detto Via Francigena di Sigerico.

MansioDenominata Via dei Monasteri Regi, attraversava Castell’Arquato e risaliva la montagna fino al Passo del Pelizzone, transitando per i possedimenti della potente Abbazia di Tolla, sorta nel 680 circa d.C. ad opera dei Frati Benedettini.

Della cittadina valdardese, le cronache della città di Piacenza, ne parlano fin dal 500 d.C. e, da documentazione certa,  sappiamo che nel 772 un certo Magno donò il luogo al Vescovo di Piacenza che ne restò in possesso fino al 10 agosto 1220,  quando lo stesso Vescovo Vicedomino  lo cedette alla comunità locale.

Castell’Arquato restò comune libero fino a quando il capitano del popolo Alberto Scoto lo conquistò.

Poi dal 1317 passò ai Visconti, edificatori della Rocca,  ai quali subentrarono gli Sforza fino al 1707. Da quell’anno fece parte del Ducato di Parma e Piacenza restandovi fino all’indipendenza dell’Italia.

NOTE

(1)mutatio: Molto simile alla mansio era la mutatio, la cui funzione, in età imperiale, consisteva esclusivamente nel fornire animali di ricambio ai messi o ai veicoli (i corrieri) che viaggiavano per interessi di stato o autorizzati da esso. Il diritto di disporre di animali pubblici e fornirsi di rifornimenti era ottenuto mediante l’esibizione di un atto scritto. Una specie di passaporto dove venivano annotate destinazione e motivazione del viaggio. La stazione poteva essere gestita da un gruppo di coloni o da ex legionari.

(2) una tesi sostiene che il toponimo Castell’Arquato sia da attribuire al fatto che, oltre alla presenza di un castello, vi fosse anche un ponte romano ad archi (in latino arcus) che permetteva di attraversare l’Arda. Dalla sua forma “arcuata” deriverebbe pertanto “arquato” (come del resto è provato per l’altra cittadina “ligures”di Arquata Scrivia in Piemonte). Poi ci sarebbe anche da considerare che nel nostro dialetto attuale il toponimo lo leggiamo  “castelarquâ (è)” dove Arquâ è derivante dall’antica lingua ligure.

(3)pagi: circoscrizioni territoriali rurali.

(4)mansio: una mansio, in età imperiale, era una stazione di sosta e di cambio dei cavalli lungo una strada romana importante, gestita dal governo centrale utilizzata da alti ufficiali e dai dignitari di corte che dovevano viaggiare per ragioni di stato.  Era custodita da una piccola guarnigione. Spesso mansio e mutatio erano “raggruppate”.

* articolo pubblicato  da Valdarda’s blog  il 9-4-13 e ora  sottoposto a revisione.

Le fonti di tali post sono siti web di Castell’Arquato, Quaderni della valtolla e il convegno di studi promosso nel 2012 dalla deputazione di storia patria a Veleia.

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